Tag: fumetto

  • Oltre il Cyberpunk: le architetture postumane di Tsutomu Nihei

    Blame

    Tsutomu Nihei è un mangaka che mette a dura prova la lettura da parte degli otaku più accaniti. La storia del suo Blame! appare all’inizio incredibilmente complessa e fumosa; in realtà la si scopre poi essere quasi inesistente: si tratta solo di un espediente per trascinare il lettore attraverso duemila pagine di immagini, con pochi e per lo più misteriosi dialoghi. Ciò che affascina non è lo svolgersi di una trama bensì l’accumulo di ambienti e situazioni sempre nuove e sorprendenti. Il mondo di Blame! è il prodotto di innumerevoli mutazioni: la società si è frammentata lungo i piani di una megalopoli stratificata, che sale da profondi abissi di acciaio e cemento verso altissime torri che si perdono tra le nuvole; ogni volta che crediamo di aver raggiunto la cima scopriamo, come in una specie di arcade, di aver solo superato un livello e che un altro ci attende.

    Gli occupanti di questo specie di labirinto di Escher sono i rappresentanti di una nuova specie di umanità o forse solo una sua breve appendice sulla percorso che porta all’estinzione. Ci sono piccole comunità regredite a un livello medievale mentre altre appaiono ancora vivere immerse in un’alta tecnologia, anche se di recupero. Individui isolati sopravvivono in modi imprecisati, a volte prigionieri di macchine che perpetuano all’infinito le loro funzioni ormai prive di scopo, come la donna mantenuta in vita da un dispositivo di inseminazione che la costringe al contempo a partorire all’infinito. Tutto è riciclato o riadattato, nulla di nuovo si scopre o si produce ma si vive del residuo. Non vi è neppure spazio per aspirazioni umane: l’agire è motivato solo dalla sopravvivenza e dall’adempiere a missioni di origine remota che potrebbero essere ormai inutili. L’interazione sociale è ridotta al minimo indispensabile, semplice scambio di indicazioni e informazioni pratiche, se non velate minacce o aperte dichiarazioni di ostilità: un oltre vita che pare uscito dal trittico di Bosch senza alcun accenno però a un paradiso.

    Blame

    Ogni distinzione tra umano e macchina sembra impossibile: chiunque può rivelarsi indifferentemente composto di carne o metallo, biologico o elettronico; il confine tra naturale e artificiale è caduto e ha perduto ogni senso. Anche la stessa corporeità viene superata da esseri mutaforma e da rappresentazioni olografiche viventi.

    Tutta questa postumanità scompare di fronte alle architetture gigantesche che dominano le tavole, vero oggetto della rappresentazione di Nihei: quello di Blame! è un panorama interamente artificiale, dove ogni spazio disponibile è edificato, composto esclusivamente da immensi blocchi di cemento, tubi, macchinari in cui si aprono finestre, scale, condotti, enormi caverne o stretti cunicoli. Se protagonisti e comparse difettano di profondità e di uno spessore psicologico (non conosciamo praticamente nulla della loro vita e spesso rimaniamo indifferenti di fronte all’improvvisa apparizione di nuovi personaggi e alla loro altrettanto repentina e a volte inspiegabile scomparsa) è anche perché questi vengono costantemente schiacciati dalla sovrabbondanza edilizia: la vita umana è solo un residuo biologico dei suoi prodotti fuori controllo.

    Blame

    In Biomega, prequel di Blame! con cui in realtà condivide ben poco, vediamo una possibile nascita di questo nuovo mondo, dovuta apparentemente alla comparsa di un misterioso virus che trasforma gli uomini in una sorta di zombi mutanti in grado di fondersi tra loro e con gli edifici, causando la crescita incontrollata di biocittà di carne e roccia, fino a una catastrofe globale che coinvolge l’intero pianeta, deformandolo in una costruzione spaziale che si estende forse per milioni di chilometri.

    Biomega

    Gli ultimi residui di grandi zaibatsu tentano di riprendere il controllo prima della loro stessa dissoluzione; ma ogni tentativo pare destinato al fallimento di fronte all’ineluttabilità del destino e al predominio della materia.

    Il gigantismo delle strutture trionfa su tutto, come morte o neo-vita, monumento ed epitaffio dell’uomo: nulla sopravvive se non l’eterna mutazione e decadenza dell’architettura, non più ricerca ma pura autoriproduzione: come la Terra finale del ciclo di Anni senza fine di Simak, il mondo di Nihei è solo una gigantesca costruzione senza più scopo alcuno, condannata a perpetuarsi fino alla consunzione.

  • “Non per odio ma per amore”: gli “Orfani” della Sergio Bonelli

    Orfani

    Sono colpevole: da tempo immemore ormai non frequentavo la scuderia Bonelli, dopo essere stato per più di dieci anni un accanito fan di Dylan Dog dalle sue origini e successivamente aver soltanto dato uno sguardo distratto qua e là a successive creazioni come Nathan Never e Gea. Nel frattempo Sergio Bonelli se n’èandato e il mondo nato con Tex è fortunatamente arrivato indenne alla sua terza generazione. Su segnalazione del buon Giovanni Boccia Artieri ho scoperto Orfani con cui sto piacevolmente espiando le mie colpe.

    Da quasi un anno in edicola, Orfani è il primo albo del nuovo corso bonelliano, che prevede tra l’altro il rilancio di Dylan Dog in versione rivisitata, con ricambio di personaggi, stili e tematiche.

    Che Orfani sia una svolta per la Bonelli si vede sin dai primi numeri: un diverso segno grafico, per di più completamente a colori, il passaggio da episodi autoconclusivi a serie annuali (per il momento ne sono previste almeno due), un linguaggio più attuale, mutuato dal cinema, il tutto unito a una violenza inusuale per la casa editrice milanese.

    Orfani

    L’ambientazione è post-apocalittica, dopo che una catastrofe planetaria, un’immensa luce che ha travolto e distrutto buona parte dell’Europa, ha precipitato l’umanità in un’epoca oscura. Il mondo futuro è quello cupo di film come Terminator o Appleseed, costellato da macerie, mancanza di ordine, spietate persecuzioni e ribellioni. Ambienti e tecnologie macinano gli ultimi trent’anni di immaginario cinematografico, fumettistico e videoludico americano e giapponese, con citazioni continue, dai bambini-cavie di Akira di Katsuhiro Otomo ai marine ipertecnologici di Aliens di James Cameron. La grafica spettacolare trasforma gli ambienti in monocolori accesi, ora rossi, ora blu, con il freddo dello spazio e delle città in rovina che si contrappone al calore delle armi e degli amori.

    Orfani

    La storia scritta da Roberto Recchioni si svolge su due livelli temporali, seguendo l’evoluzione dei personaggi da bambini superstiti del disastro, orfani appunto, e contemporaneamente da adulti trasformati in macchine da guerra, attraverso uno spaventoso addestramento militare e le successive missioni.

    I dialoghi sono serrati, senza battute superflue, come se non ci fosse spazio per altro, con punte di cinico umorismo che si contrappongono alla freddezza degli ordini.

    Orfani

    I protagonisti, il cui folto numero all’inizio può disorientare, vengono via via falcidiati in un crudele gioco a eliminazione alla dieci piccoli indiani, in cui i personaggi scompaiono uno dopo l’altro, quasi mai per mano nemica quanto piuttosto per i severi allenamenti e i sempre più accesi scontri interni tra eroi che si trasformano da amici in rivali. Sì, perché tra i tanti dubbi che Orfani insinua il più tremendo è la scelta sulle parti da prendere: immersi nella liquidità postmoderna, senza indirizzo o fonti di informazioni affidabili, i “piccoli e spaventati guerrieri” si trovano spesso a dover decidere con chi schierarsi, a stabilire dove stiano il bene e il male, abbandonati nella guida e negli affetti, avendo come unici strumenti di discrimine se stessi e la propria coscienza.

    Orfani

    I confini dei sentimenti, lealtà, amicizia, amore, vacillano e si sfaldano di continuo, in un gruppo in cui prevalgono di volta in volta la scelta individuale, la fedeltà a un’istituzione o a un’ideale; ognuno segue una propria idea di verità, faticosamente costruita in un’infanzia di orrore e di duro addestramento oltre i limiti dell’umano, che costringe menti e corpi a una continua, dolorosa e a volte letale mutazione.

    Il lettore, travolto dai continui cambi di campo dei singoli personaggi, si trova a dover scegliere a sua volta da che parte stare; in Orfani non vengono proposte chiare e definitive distinzioni tra buoni o cattivi: siamo noi a decidere quali siano gli eroi e quali le canaglie e spesso un improvviso ribaltamento ci costringe a rivedere le nostre posizioni; sembra sempre esserci un’accusa, un errore e parimenti una scusa e una giustificazione per tutti. Ognuno opera a modo suo per la salvezza dell’umanità, anche attraverso l’annientamento altrui o la propria autodistruzione; nonostante il desiderio di vendetta imperi, in genere è l’amore, e non l’odio, a guidare le loro azioni.

    La pubblicazione è stata preceduta, altro fatto inedito per la Bonelli, dalla pubblicazione di un numero zero, una raccolta di illustrazioni scaricabile on line in formato Pdf che potete trovare sul sito ufficiale. Il resto, vivamente consigliato, in edicola o come arretrati.

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