Tag: bambini

  • La genitorialità ai tempi degli zombi

    La genitorialità ai tempi degli zombi

    Il mondo post apocalittico degli zombi non è esattamente un parco giochi per bambini; per sopravvivere bisogna essere adulti in grado di correre e sparare.

    Fin dai classici film di Romero i bambini sono vittime e mai protagonisti. Gli adulti, genitori e non, si trovano spesso nei loro confronti nell’atroce ruolo dei carnefici più che in quello dei salvatori. Non li si può biasimare, visto che dal canto loro, i piccoli hanno la pericolosa tendenza a cadere vittime dei morti viventi e a trasformarsi a loro volta in piccoli ma voraci consumatori di carne umana viva.

    La notte dei morti viventi

    Cadono quindi sotto i colpi dei fucili prima la piccola Cooper, che uccide e divora i suoi genitori nella Notte dei morti viventi, poi i due anonimi bambini (nella realtà figli del regista) in Zombi.

    Sopravvive comunque una speranza, incarnata proprio da una nuova generazione. Una dei due sopravvissuti a Zombi è incinta e nel Giorno degli zombi vediamo nell’ultima scena la protagonista segnare i giorni che passano su un calendario, forse per ricordare il tempo trascorso dopo l’apocalisse o quello che resta prima di un parto.

    I morti viventi, a differenza dei vivi, non si riproducono; la loro è una società sterile, costretta a perpetuare se stessa solo in modo conservativo, e, a lungo termine, a decadere nella putrefazione. L’aumento dell’orda è basato unicamente sull’assimilazione: zombi si diventa, non si nasce. La possibilità di figliare rimane prerogativa e tratto distintivo dei viventi, parte minoritaria e rivoluzionaria rispetto alla massa dei morti deambulanti.

    E’ proprio dalla difesa dei figli e, per estensione, delle nuove generazioni, che muove un nuovo filone del genere nel mondo del post 11 settembre. In particolare due film sono accumunati dal senso di incertezza e disorientamento di fronte a fenomeni globali, che colpiscono gli indifesi cittadini americani a casa loro e nei loro affetti familiari.

    World War  Z

    In World War Z il protagonista è un superagente dell’ONU incaricato di trovare una cura per il morbo che sta trasformando l’umanità in una unica, gigantesca orda di morti viventi; ma è anche, e prima di tutto, un padre che lotta per salvare la sua famiglia, che verrà protetta dal governo solo fino a quando lui sarà utile in qualche modo: nella glaciale logistica della sopravvivenza non c’è spazio per chi non è direttamente attivo. Brad Pitt si trova quindi a inseguire un ipotetico vaccino in un tour forzato intorno al pianeta per salvare sì il destino della razza umana ma soprattutto quello di sua moglie e dei suoi figli.

    Contagious - Epidemia mortale

    Se nella guerra mondiale contro gli zombi c’è la speranza nella scienza medica e nella sua unione globale, in Contagious – Epidemia mortale (brutto titolo italiano per il più significativo originale Maggie) non c’è alcun rimedio: il vecchio padre Schwarzenegger è costretto ad assistere impotente alla progressiva e inesorabile zombificazione della figlia adolescente.

    Politicamente repubblicano, il personaggio interpretato da Schwarzie resiste alle pressioni del governo affinché consegni la figlia a un centro di quarantena, dove i “morituri” sono tenuti ammassati in attesa del colpo di grazia. Ma la sua è anche una battaglia per il diritto a una eutanasia autodeterminata, per quando il processo, simile a un cancro, sarà arrivato alla fine: il padre, erede della frontiera del vecchio West, resta con la figlia fino all’ultimo, pronto a spararle per risparmiarle la non-vita degli zombi.

  • “Non per odio ma per amore”: gli “Orfani” della Sergio Bonelli

    Orfani

    Sono colpevole: da tempo immemore ormai non frequentavo la scuderia Bonelli, dopo essere stato per più di dieci anni un accanito fan di Dylan Dog dalle sue origini e successivamente aver soltanto dato uno sguardo distratto qua e là a successive creazioni come Nathan Never e Gea. Nel frattempo Sergio Bonelli se n’èandato e il mondo nato con Tex è fortunatamente arrivato indenne alla sua terza generazione. Su segnalazione del buon Giovanni Boccia Artieri ho scoperto Orfani con cui sto piacevolmente espiando le mie colpe.

    Da quasi un anno in edicola, Orfani è il primo albo del nuovo corso bonelliano, che prevede tra l’altro il rilancio di Dylan Dog in versione rivisitata, con ricambio di personaggi, stili e tematiche.

    Che Orfani sia una svolta per la Bonelli si vede sin dai primi numeri: un diverso segno grafico, per di più completamente a colori, il passaggio da episodi autoconclusivi a serie annuali (per il momento ne sono previste almeno due), un linguaggio più attuale, mutuato dal cinema, il tutto unito a una violenza inusuale per la casa editrice milanese.

    Orfani

    L’ambientazione è post-apocalittica, dopo che una catastrofe planetaria, un’immensa luce che ha travolto e distrutto buona parte dell’Europa, ha precipitato l’umanità in un’epoca oscura. Il mondo futuro è quello cupo di film come Terminator o Appleseed, costellato da macerie, mancanza di ordine, spietate persecuzioni e ribellioni. Ambienti e tecnologie macinano gli ultimi trent’anni di immaginario cinematografico, fumettistico e videoludico americano e giapponese, con citazioni continue, dai bambini-cavie di Akira di Katsuhiro Otomo ai marine ipertecnologici di Aliens di James Cameron. La grafica spettacolare trasforma gli ambienti in monocolori accesi, ora rossi, ora blu, con il freddo dello spazio e delle città in rovina che si contrappone al calore delle armi e degli amori.

    Orfani

    La storia scritta da Roberto Recchioni si svolge su due livelli temporali, seguendo l’evoluzione dei personaggi da bambini superstiti del disastro, orfani appunto, e contemporaneamente da adulti trasformati in macchine da guerra, attraverso uno spaventoso addestramento militare e le successive missioni.

    I dialoghi sono serrati, senza battute superflue, come se non ci fosse spazio per altro, con punte di cinico umorismo che si contrappongono alla freddezza degli ordini.

    Orfani

    I protagonisti, il cui folto numero all’inizio può disorientare, vengono via via falcidiati in un crudele gioco a eliminazione alla dieci piccoli indiani, in cui i personaggi scompaiono uno dopo l’altro, quasi mai per mano nemica quanto piuttosto per i severi allenamenti e i sempre più accesi scontri interni tra eroi che si trasformano da amici in rivali. Sì, perché tra i tanti dubbi che Orfani insinua il più tremendo è la scelta sulle parti da prendere: immersi nella liquidità postmoderna, senza indirizzo o fonti di informazioni affidabili, i “piccoli e spaventati guerrieri” si trovano spesso a dover decidere con chi schierarsi, a stabilire dove stiano il bene e il male, abbandonati nella guida e negli affetti, avendo come unici strumenti di discrimine se stessi e la propria coscienza.

    Orfani

    I confini dei sentimenti, lealtà, amicizia, amore, vacillano e si sfaldano di continuo, in un gruppo in cui prevalgono di volta in volta la scelta individuale, la fedeltà a un’istituzione o a un’ideale; ognuno segue una propria idea di verità, faticosamente costruita in un’infanzia di orrore e di duro addestramento oltre i limiti dell’umano, che costringe menti e corpi a una continua, dolorosa e a volte letale mutazione.

    Il lettore, travolto dai continui cambi di campo dei singoli personaggi, si trova a dover scegliere a sua volta da che parte stare; in Orfani non vengono proposte chiare e definitive distinzioni tra buoni o cattivi: siamo noi a decidere quali siano gli eroi e quali le canaglie e spesso un improvviso ribaltamento ci costringe a rivedere le nostre posizioni; sembra sempre esserci un’accusa, un errore e parimenti una scusa e una giustificazione per tutti. Ognuno opera a modo suo per la salvezza dell’umanità, anche attraverso l’annientamento altrui o la propria autodistruzione; nonostante il desiderio di vendetta imperi, in genere è l’amore, e non l’odio, a guidare le loro azioni.

    La pubblicazione è stata preceduta, altro fatto inedito per la Bonelli, dalla pubblicazione di un numero zero, una raccolta di illustrazioni scaricabile on line in formato Pdf che potete trovare sul sito ufficiale. Il resto, vivamente consigliato, in edicola o come arretrati.

  • Tutti i bambini di Spielberg (o quasi)

    Il cinema di Steven Spielberg è per una buona parte cinema per bambini, sui bambini ma soprattutto atttraverso i bambini. Oltre la narrazione compare un punto di vista costantemente meravigliato delle potenzialità del mezzo cinematografico, della fascinazione delle immagini e della costruzione filmica. Anche in film “adulti” Spielberg ci fa regredire o ci mette a confronto con il nostro stupore di bambini.

    Lo squalo

    Lo squalo minaccia gli esseri umani senza distinzione di età ma la meraviglia per la creatura mostruosa e l’avventura della sua ricerca ci ritrova tutti bambini: la caccia prende a tratti la connotazione del gioco. Spielberg mescola temi “alti” da Melville e Hemingway alla cultura pop senza perdere d’occhio la traccia favolistica.

    Incontri ravvicinati del terzo tipo

    In Incontri ravvicinati del terzo tipo spetta al piccolo Barry sperimentare in prima persona l’incontro con gli alieni, senza averne paura e affascinato dalle splendide luci che scendono dal cielo e dalla misteriosa e ipnotica melodia di cinque note che invita a giocare. Il tema del Pinocchio disneyiano ricorre più volte e When You Wish Upon A Star riecheggia quando il protagonista, circondato da alieni che dei bambini hanno l’altezza e le movenze, si fa portare via da loro verso un viaggio che è forse la realizzazione di un sogno dell’infanzia.

    In 1941 – Allarme a Hollywood gli adulti, con le loro paure di invasioni giapponesi, si rivelano degli inguaribili bambinoni (John Belushi per primo) alle prese con giocattoli troppo grandi per loro; persino il generale che dovrebbe occuparsi di organizzare la difesa viene sorpreso al cinema mentre si commuove guardando Dumbo.

    I predatori dell’arca perduta e in generale la serie di Indiana Jones è un unico grande luna park, con scheletri, serpenti, topi, insetti e altri animali “schifosi”, cattivoni che spaventano e divertono come i fantocci del tunnel degli orrori, mentre i protagonisti vengono sballottati qua e là su un gigantesco ottovolante di continue invenzioni e peripezie.

    E.T. L'extra-terrestre

    E` invece E.T. L’extra-terrestre  il primo film spielberghiano a raccontare una storia per  bambini e da bambini  interpretata. Elliott, Gerthie e Michael sono testimoni del primo “incontro ravvicinato” e proteggono l’alieno da un mondo fatto di adulti, mondo nemico, in quanto scettico o fin troppo interessato, tanto a loro quanto a E.T.; è un segreto da custodire in camera e da rivelare solo ai coetanei. La magia è quella della favola di Peter Pan: la radura nel bosco da dove “telefonare casa” diventa un’Isola che non c’è che i grandi non possono o non devono trovare. Anche la macchina da presa assume il punto di vista e l’altezza dei piccoli protagonisti, a indicare maggiore meraviglia per l’ignoto e per un mondo che ci appare di colpo immenso anche se quasi completamente limitato all’interno della casa dove si svolge la maggior parte dell’azione.

    L'impero del sole

    La guerra e la prigionia viste dal giovanissimo Jim sono invece al centro del ballardiano L’impero del sole. L’invasione della Cina da parte del Giappone separa il protagonista (un quasi esordiente e bravissimo Christian Bale) dai genitori e dal mondo sicuro e protetto in cui viveva per precipitarlo all’interno della guerra, della prigionia, della fame e della morte. Pur costretto a crescere in fretta, Jim non perde il suo sguardo meravigliato ed entusiasta: caccia a volo radente e bombardieri sono giganteschi giocattoli che per la prima volta sono visibili da vicino, quasi a portata di mano, e poco importa del pericolo che rappresentano. La terribile luce della prima bomba atomica diventa un’anima che vola in cielo; l’aviatore giapponese, kamikaze fallito, diventa un amico con cui condividere una passione.

    Un grande che impara a ritrovare l’infanzia è invece il protagonista di Hook – Capitan Uncino, in cui Robin Williams interpreta un Peter Pan immemore del proprio passato che riscopre la possibilità di credere di nuovo alle favole e alla capacità di volare grazie a un nuovo “pensiero felice”.

    Jurassic Park

    Jurassic Park è di nome e di fatto un parco di divertimenti tematico per i bambini in scena ma anche per gli spettatori che bambini ridiventano, stupiti dalla potenza dell’effetto digitale che porta sullo schermo splendidi mostri che fino ad allora erano stati quasi sempre animati a passo uno.

    Schindler's List

    E’ il cappotto rosso di una bambina ebrea, unica macchia di colore in un film rigidamente in bianco e nero, a sottolineare l’orrore in Shindler’s List. Lo vediamo due volte, condividendo lo sguardo del protagonista: la prima quando la piccola sembra sfuggire al rastrellamento del ghetto; la seconda quando il corpo della piccola viene riesumato e avviato insieme ad altre migliaia alla cremazione con cui i nazisti tentato di nascondere le prove dei loro massacri.

    Un bambino falso ma “più umano dell’umano” è il protagonista di A.I. – Intelligenza artificiale, tra un Pollicino e un Pinocchio ipertecnologico che, come il suo predecessore di legno, anela a diventare un bambino vero. Il suo ultimo desiderio sarà quello di vivere ancora un giorno con la madre adottiva.

    La salvezza dei figli è al centro delle preoccupazioni di Tom Cruise di fronte all’invasione aliena nella versione spielberghiana della Guerra dei mondi. Perso il primogenito, attratto  dal fascino dell’evento, è la sorella minore Rachel a diventare l’unico pensiero del protagonista, che si occupa al tempo stesso di proteggerla dalla cattura da parte degli extraterrestri e dall’orrore della vita sul pianeta sconvolto dall’attacco. In un film influenzato nell’estetica e nei temi dagli attentati dell’11 settembre, il nemico da cui fuggire è una minaccia esterna ma anche la follia paranoide degli stessi terrestri.

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