Apocalissi d’autore

Il filone catastrofico è certamente commerciale; eppure i suoi archetipi, specie quelli del genere apocalittico, sono stati presi a prestito da registi più tipicamente ascrivibili alla categoria degli autori, che ne hanno usato l’immaginario per metafore nel contesto di un percorso personale. Si tratta quasi sempre di pellicole dominate dal pessimismo, che lasciano poco spazio alla speranza o alla redenzione e in cui l’uomo viene spesso condannato a scomparire, a volte per sua stessa mano, in un cupio dissolvi autopunitivo, altre volte per elementi esterni superiori all’umana volontà e quasi divini.

Il Dottor Stranamore

Stanley Kubrick usa l’incombente minaccia della guerra nucleare per mostrare nuovamente con amara ironia la sua disillusione nei confronti dell’opera umana. Nel Dottor Stranamore passa una sfilata di personaggi caricaturali non all’altezza della situazione o comunque incapaci di controllare un sistema di difesa da loro stessi creato e, in definitiva, di impedire una fine del mondo che proprio quello stesso sistema avrebbe dovuto invece scongiurare.

Il seme dell'uomo

Nel divertito nichilismo di Marco Ferreri affonda l’umanità di Il seme dell’uomo: nell’arco di pochi minuti una misteriosa catastrofe, di cui vediamo solo residuali immagini televisive che mostrano intere città in fiamme, stermina l’umanità, lasciando ai pochi sopravvissuti il compito di ripopolare la Terra; ma un insondabile destino si accanirà anche contro gli ultimi superstiti, condannandoli a scomparire.

Quintet

Un amaro pessimismo avvolge anche Quintet di Robert Altman: in un mondo simbolicamente e irrimediabilmente avvolto dai ghiacci, dove una civiltà in estinzione ha rinunciato a qualunque progresso, tutto quello che resta è ingannare l’attesa della fine partecipando a un gioco che conferisce al vincitore diritto di vita e di morte sugli altri partecipanti. Come scoprirà il protagonista, l’unico senso finale del gioco è il gioco stesso.

Sogni

Anche Akira Kurosawa nel suo Sogni vede un futuro disperato, all’interno di una visione onirica e ammonitrice: in un episodio il vulcano Fujiama, simbolo stesso del Giappone, erutta distruggendo una centrale nucleare costruita alle sue pendici; per sfuggire alla radioattività, il popolo scompare in mare, suicidandosi. Restano un uomo, una donna e un bambino, che cercano invano di allontanare il colorato vento radioattivo sventolando la giacca, in un estremo gesto di disperazione. Ancor più cupo è l’episodio successivo: in un panorama ormai nero e indistinto, costellato di piccoli laghi color sangue e mostruosi fiori, resi giganteschi dalle radiazioni, gli ultimi residui dell’umanità si spengono tra lotte per la sopravvivenza e atroci dolori prococati dalla crescita di demoniache corna sulla testa.

Fino alla fine del mondo

Sempre la minaccia nucleare, questa volta a causa del possibile rientro nell’atmosfera di un satellite fuori controllo, domina nella trama di Fino alla fine del mondo di Wim Wenders, (che già era passato per l’apocalittico film nel film di Lo stato delle cose) in un road movie che celebra il disfacimento dell’immagine e la salvifica parola scritta; i protagonisti ripercorrono il cammino dell’umanità, dalla vecchia Europa all’Australia, verso la creazione di una macchina magica che si dimostrerà capace di registrare i sogni.

Melancholia

La depressione come risorsa nella fine è invece uno dei temi di Melancholia. Con la consueta crudeltà nei confronti dei suoi personaggi, il regista Lars von Trier ripesca dalla fantascienza classica lo scontro tra corpi celesti per esplorare sentimenti e paure di un piccolo gruppo di fronte alla inevitabile scomparsa della Terra, destinata a entrare in collisione con un gigantesco pianeta.


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